M...ATTEOTTI: UN INUTILE EROE
documentario teatrale in ricordo di Giacomo Matteotti
Descrizione
Parlando a dei coetanei del tempo, un Giacomo Matteotti poco più che ventenne (si era iscritto al partito socialista a tredici anni) aveva detto: “Ogni epoca ha avuto i suoi martiri, le sue vittime, gli inutili eroi che col loro sacrificio, hanno aperto gli occhi e la strada agli altri”. Vent’anni dopo, il 10 giugno del 1924, in un lunedì di sole cocente, a Roma, sul lungotevere Arnaldo da Brescia, quel "ragazzo" veniva rapito e ucciso da un gruppo di “arditi” del fascio milanese, comandati da un certo Amerigo Dùmini, detto “dodici omicidi”. Era una squadra della cosiddetta “Ceka fascista”, organismo segreto ma neppure tanto, voluto da Mussolini per mettere a tacere gli oppositori. Oggi una via, un corso, una piazza Giacomo Matteotti esistono in molte città d’ Italia. E se qualcuno vuole sapere come ci si arriva rispondiamo con facilità. Se però ci viene chiesto a bruciapelo chi era Giacomo Matteotti, pochi di noi saprebbero andare oltre un generico: “deputato socialista rapito e ucciso dai fascisti. ”Che si sappia così poco della storia di questo “inutile eroe”, grazie al cui sacrificio, e a quello di tanti altri, oggi viviamo in libertà, è un peccato. Il suo rapimento ed assassinio fu uno snodo fondamentale nell’affermazione del regime totalitario in Italia. Per qualche tempo, in seguito a quel delitto, il fascismo sembrò sul punto di “sfasciarsi”. L’occasione, com’è noto, fu persa dalle opposizioni che, ritiratesi dal parlamento, furono sbeffeggiate da Mussolini che potè impunemente dichiarare di assumersi tutta “la responsabilità politica, morale, storica” di quanto era avvenuto. E via, a passo di parata, verso la dittatura. Ma anche la vicenda umana di Matteotti, che con quella politica si intreccia inestricabile, è davvero interessante.
A partire (scorrendone al contrario la biografia) dal rapporto intenso e passionale con la moglie Velia; alle ore passate a giocare carponi sul pavimento di casa, in via Pisanelli 40, con Matteo, Giancarlo ed Isabella, i tre amatissimi figli; a quelle passate a spulciare bilanci dello stato nella biblioteca parlamentare; alle incomprensioni con alcuni compagni di partito a causa del suo status di “socialista milionario”; all’attività comunque instancabile a favore dei contadini del natio Polesine; agli scontri dentro e fuori la camera dei deputati con i fascisti; all’attaccamento per i due fratelli morti prematuramente, Silvio e Matteo, con cui giocava, a Fratta Polesine, nella bottega di mamma Elisabetta e papà Gerolamo.
Nel documentario teatrale “UN INUTILE EROE” un anziano avventore e una giovane turista si ritrovano per caso a chiacchierare al tavolino di un bar all’aperto, serviti da un premuroso cameriere. Quand’ecco riemergere, da chissà dove, una voce fuori campo, quella di una vecchissima signora, testimone, per privilegio d’anagrafe, dell’epoca. Comincia a dialogare col terzetto per poi ripercorrere a ritroso la storia e la vita del martire socialista. I quattro capitoli in cui la narrazione del caso si divide, prendono in esame i vari processi giudiziari, nonché l’intreccio politico-affaristico che, secondo alcuni, potrebbe essere alla base del delitto. Soffermandosi però anche su aspetti meno noti della vicenda, ad esempio la passione di Matteotti per Shakespeare, aprendo nel contempo uno squarcio sull’Italia dell’epoca. Fatta di ingenuo consenso popolare e di scaltriti speculatori d’alto bordo; di bambini che offrivano al duce i loro temi sgrammaticati e di alti gerarchi trafficanti di residuati bellici; di canzonette patriottiche e soldati lasciati nel deserto senza munizioni; di corruzione, tangenti, affari sporchi e insieme di entusiasmo, giovinezza e sincero amore per la patria. Lo sfondo insomma su cui si delinea potente la figura di un uomo dall’aspetto gentile, dal carattere inflessibile, la cui condotta non deviò mai dalla linea tracciata tra due punti fermi: giustizia e libertà. Giacomo Matteotti era uno dei pochi deputati italiani dell’epoca che sapessero l’inglese. L’aveva studiato per leggere Shakespeare in originale. Quando, da ultimo non esitò ad opporsi, lui solo, con le armi della democrazia, alla violenza fascista, chissà che la spinta decisiva, tra le altre, per superare i dubbi residui, non glie l’abbiano data i più famosi versi dell’Amleto, e di tutto il teatro occidentale: “essere o non essere, è la questione…”. Ma in originale: “To be or not to be: that is the question…”