L'ASSASSINIO NELLA CATTEDRALE

di e con Andrea Carabelli
regia di Andrea Carabelli
in collaborazione con gli studenti della scuola di teatro del liceo don Carlo Gnocchi di Carate
direttore del coro Silvia Beretta


Descrizione

ASSASSINIO NELLA CATTEDRALE di Thomas Eliot  
Rappresentato per la prima volta al Festival di Canterbury nel 1935, Assassinio nella Cattedrale è il primo dramma compiuto del grande poeta inglese Thomas Eliot. E forse il suo capolavoro: poesia, dramma e prosa si intersecano in un equilibrio perfetto che restituisce allo spettatore una comunicazione intensa, raffinata e perfettamente aderente al momento e al personaggio che parla. La storia così la sintetizza Eliot: “un uomo ritorna in patria, prevede che sarà ucciso, è ucciso”. È la storia del santo Thomas Becket venerato martire inglese che il 29 dicembre 1170 venne assassinato da dei sicari per ordine del re Enrico II, che non accetta di non poter avere pieno potere anche sulla nomina dei vescovi. Ma della storia non si racconta tanto di più. Eliot stesso afferma di “non voler scrivere una cronaca della politica del dodicesimo secolo”. Quello che al poeta interessa è concentrarsi “sulla morte e sul martirio”. Il genere utilizzato per la scrittura del testo non è semplicemente la forma drammatica del teatro, quanto più quella della Sacra Rappresentazione. È Sacra Rappresentazione perché la vicenda che in trasparenza si ripercorre è quella della Passione di Cristo: il ritorno in patria di Becket a Canterbury rievocano l’entrata di Gesù in Gerusalemme acclamato dalla folla; le tentazioni di Gesù nel deserto fino all’ultima tentazione nell’orto del Getsemani vengono rivissute dall’Arcivescovo negli incontri coi quattro tentatori. È Sacra Rappresentazione perché la struttura è liturgica: si ripercorrono i passaggi della celebrazione eucaristica: dal pentimento fino alla redenzione finale. Lo confermano le indicazioni didascaliche che parlano più volte di inni sacri che si sentono in lontananza: Dies Irae, Te Deum. Gli spettatori udranno canti sacri tratti dalla tradizione liturgica copta. Becket quando sente di essere destinato al martiro, chiede ai suoi fedeli di pregare per lui e aggiunge che “forse lui non sarà l’ultimo martire”. La nostra rappresentazione vuole anche essere una memoria di tutti i martiri, anche di quelli venuti dopo l’Arcivescovo. Vogliamo ricordare i 21 nostri fratelli copti sgozzati il 15 febbraio 2015 sulla spiaggia di Sirte in Libia, a causa della loro fede in Cristo.
È infine Sacra rappresentazione perché è una storia sacra che riguarda tutti. Sacra perché del santo si racconta il solo vero unico grande miracolo dell’esistenza: permettere all’Eterno di farsi tempo presente. Permettere all’amore di Cristo di incarnarsi di nuovo nel tempo. Il senso del tempo è uno dei temi più ricorrenti nell’opera: la ruota che gira (il tempo che passa), la ruota che gira su se stessa (gli eventi che si ripetono costantemente) ma soprattutto il tempo che attende, che attende che l’eterno si incarni: “perché il disegno si sveli”, “in sordidi particolare l’eterno disegno può apparire”. Tutto il testo è composto da molteplici piani di lettura, differenti sfere semantiche che partono dal significato letterale e storico a quello metafisicospirituale fino a quello personale che riguarda ogni uomo e ogni tempo. E tutti questi significati non sono mai slegati l’uno dall’altro ma si intersecano tra di loro. Il personaggio più importante è certamente il coro che rappresenta la gente che siamo noi, coloro che assistono allo svolgersi del miracolo. Anche loro hanno il loro compito: diventare testimoni, “martiri” nel senso etimologico del termine. “Attendere e testimoniare” che nella loro vita quotidiana fatta di mansioni da svolgersi possano anche solo per un attimo essere trafitti da una “gioia dolorosa”. Poi forse tutto tornerà come prima “perché gli uomini non possono reggere troppa realtà”. E gli spettatori che assistono allo spettacolo sono chiamati a vivere esattamente la stessa esperienza: “tutti debbono consentire che sia voluta”. La parte del coro è quella più poetica, quella più congeniale al poeta Eliot, che scrive per la prima volta un’opera drammatica: immagini, visioni, simboli, analogie sono continuamente trasmessi agli ascoltatori attraverso le parole sublimi del coro, come spunti e sollecitazioni che spingono lo spettatore ad andare oltre. Il coro connette lo spettatore allo spettacolo, lo rende parte integrante. Come ogni sacra rappresentazione lo spettatore è parte dello spettacolo, lo vive non solo in forma emozionale ma rituale. Lo spettacolo è fatto dalla partecipazione dello spettatore al quale è chiesto proprio come avviene nel Mistero medievale di seguire lo spettacolo: non è semplicemente seduto a guardare quello che accade sul palco, ma deve attivamente partecipare seguendo gli attori e spostandosi con loro: fuori e dentro la Chiesa. Fino a che nella parte finale diventano interlocutori dei personaggi in scena: i cavalieri dismessi i panni di assassini e trasformati in moderni avvocati giustificano il loro agire: e lo fanno con un linguaggio moderno, in prosa, ma soprattutto rivolgendosi direttamente al pubblico. Che deve scegliere, decidere, da che parte stare. Compiuto questo percorso tutti si potrà giungere alla preghiera finale, una preghiera di commiato, che ci accosta a quella Gloria di cui parla Dante nell’attacco della terza cantica. E sia detto in conclusione che l’ispirazione per Eliot, e che serve a capire il senso di tutto lo spettacolo, è il verso tratto dal terzo canto del Paradiso, quando Piccarda spiega a Dante: “en la Sua volontade è nostra pace”. Sono le altre due parole più importanti del testo: volontà e pace. Verso dove muove l’agire umano e personale? Quale pace l’uomo può costruire da solo? In che cosa consiste la vera pace dell’anima? “La pace di questo mondo è sempre incerta, se l’uomo non custodisce la pace di Dio”  

Date dello spettacolo

06/09/2024 21:15 - ALMENNO SAN BARTOLOMEO - Corte di San Tomè